venerdì 29 aprile 2011

Cum grano salis: ancora sul Paradosso della democrazia

Non è certo uno scandalo della ragione riconoscere la cifra di antidemocrazia insita nella democrazia. L’assoluto non appartiene alla dimensione dell’agire umano, può esserne solo la bussola. Così l’assoluta democrazia è un modello ‘platonico’ che gli artigiani della libertà (inclusi i padri della Costituzione italiana) hanno guardato, ma guai a cercare di realizzarla in concreto, pena il castigo dell’opposto (Platone, cui una volta ha dichiarato di ispirarsi Gheddafi, si è spesso tradotto in plotone).
Vero è, invece, che ogni sistema funziona nella misura in cui prevede in sé un elemento la cui natura è esterna al sistema stesso, il che ne garantisce l’ identità e contribuisce per ciò stesso a fondarlo. L’ esempio esposto da Rcd nelle sue riflessioni sul pezzo di Asor Rosa (http://rangiolani.blogspot.com/2011/04/sui-paradossi-della-democrazia.html?zx=41af10d99b41e699) è emblematico: il divieto costituzionale di rifondare il Partito Fascista  di fatto si estende a qualunque movimento politico che ne ricalchi l’ideologia. Esiste dunque un reato di opinione e associazione, per quanto circostanziato e storicamente ‘giustificato’.
Potremmo anche domandarci quanto sia democratico impedire a movimenti religiosi satanisti di aprire in Italia scuole paritarie, o di ricevere il cinque per mille come la Chiesa Cattolica o quella Valdese.
Negare che esista una cifra di antidemocrazia sarebbe pura demagogia, o nel migliore dei casi, sintomo di pruderie ideologica.
Occorre invece riconoscere senza timore l’esistenza di questa componente estranea, ammetterne la paradossale necessità,  e quindi saperla valorizzare. Allora, cum grano salis, cioè con un briciolo di discernimento, ci si porrà il problema di come maneggiarla, dosarla, affinché, come scrive Rcd, sia una medicina , e non un veleno che invade in modo sotterraneo e quasi insensibile gli organi del corpo, cioè le varie compagini dello Stato, e non ultima la mentalità della gente (è ciò che accade ora in Italia).
Parliamoci chiaro: se all’interno dell’organismo democratico qualcuno ne alimenta la cifra di antidemocrazia oltre i livelli fisiologici e la usa per fini antidemocratici, trasformandola quindi in veleno, perché altri non dovrebbero  usarla a loro volta come contravveleno? A far la differenza, allora, non è solo la dose, come sosteneva Paracelso, ma anche l’intento.
Certo, quando si maneggiano farmaci e veleni occorre oculatezza, la consapevolezza di ciò che si sta usando e del perché si è scelto di usarlo: cum grano salis.
Questo, il principio d’azione.
Facciamo un passo avanti, adesso. Asor Rosa, a fronte di una democrazia che 
si annulla da sé invece che per una brutale spinta esterna”,
 vede come soluzione:
una prova di forza che, con l’autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall’alto, instaura quello che io definirei un normale “stato d’emergenza” […] Restituisce l’Italia alla sua più profonda vocazione democratica, facendo approdare il paese ad una grande, seria, onesta e, soprattutto, alla pari consultazione elettorale. Insomma: la democrazia si salva, anche forzandone le regole”. 
Ma Asor Rosa parla anche di un sostegno di polizia e carabinieri a questa iniziativa, non ulteriormente spiegata.

Ed ecco che Rcd si chiede:
siamo davvero in una situazione così grave per cui si ha la necessità di una soluzione così altrettanto grave?

E ancora:
quanto profondo e incisivo deve essere l’intervento, ovvero, per tornare alla metafora omeopatica, quanto veleno possiamo iniettare senza rischiare di ammazzare la nostra democrazia? E chi dovrebbe fare il medico?

Che cosa intendiamo per situazione grave? E per soluzione grave?
Cominciamo dalla situazione: le opposizioni parlano di ‘emergenza democratica’. Sarebbe tutto molto più facile se fosse così, perché significherebbe che abbiamo davanti una minaccia palese per la maggioranza della gente, qualcosa di ben identificabile, perché nettamente sganciato dal sistema democratico. Ma non è così, non c’è emergenza democratica, ma piuttosto sommergenza antidemocratica: il sommergibile dell’autoritarismo è acquattato sotto le onde del sistema democratico e, invisibile o quasi, lancia i suoi siluri, affondando le navi una dopo l’altra. In   questo ultimo decennio ci siamo assuefatti  alle forzature del linguaggio, della logica, dell’etica, persino del buongusto,  per il tornaconto di pochi (o di molti, anche di noi stessi in fondo) e ritengo che non dobbiamo compiere peccato di ignavia: siamo responsabili anche della nostra non-azione che, ci ricorda Gramsci, è un’aberrante forma di azione. Di fronte a tante forzature, non dovremmo allora escludere l’eventualità di forzare anche le regole della democrazia. Tanto le vediamo sputtanate ogni giorno, ora con mano di velluto, ora con sguaiata evidenza: pensiamo al Ministro Alfano che, esasperato dalle resistenze alla riforma della giustizia, invoca come soluzione istituzionale… la gente in piazza.

Vediamo ora la soluzione:  l’ipotesi di golpe paventata da Rcd è qualcosa che va oltre la mia personale idea di forzatura delle regole, ma il coinvolgimento di polizia e carabinieri  auspicato da Asor Rosa ne è forse stretto parente, a meno che queste forze dell’ordine non debbano fungere semplicemente da protezione delle figure istituzionali responsabili dell’iniziativa, e quindi da deterrente contro eventuali aggressioni.
Giustamente Rcd vede un vero e proprio golpe con preoccupazione e infinite riserve: difficilmente è privo di disordini pubblici, ed ha come ovvia conseguenza  l’interruzione, o l’intermittenza, del normale circuito democratico; è efficace quanto rischioso, se non devastante, come può esserlo un antibiotico, per restare nella metafora della medicina.
Che esso possa incarnarsi nella rispettabile figura del Presidente della Repubblica, o di un pugno di senatori a vita, cambia poco: coinvolgerebbe comunque forze militari e componenti dell’esercito. Siamo appunto, oltre le regole: così si vince il nodo di Gordio tagliandolo con la spada, piuttosto che dipanandolo. O se vogliamo, è la soluzione del paradosso di Russell:

« In un villaggio vi è un solo barbiere, un uomo ben sbarbato, che rade tutti e soli gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Il barbiere rade se stesso? »

La soluzione è che il barbiere si fa sbarbare dal barbiere di un altro villaggio. Immaginiamo ora che il villaggio sia il sistema democratico… Potrebbe anche andarmi bene il golpe, se lo sapessi gestito da probi viri. Dovrebbero essere dei barbieri capaci di radere senza sgozzare, e magari abili nel fare salutari salassi.
Come dicevo all’inizio, ogni sistema funziona nella misura in cui prevede in sé un elemento la cui natura è esterna al sistema stesso. Ma non è necessario, non sempre almeno, che questo elemento si trovi esso stesso al di fuori del sistema.

Quando Asor Rosa dice che “la democrazia si salva, anche forzandone le regole”ci dà già una risposta. Forzarle non significa svellerle, ma spingerle a un potenziale commisurato a quello delle forze che agiscono per sovvertirle.
In che cosa potrebbe tradursi, concretamente, questa forzatura? Ammetto di non avere conoscenze adeguate, in campo di diritto e costituzione, per rispondere. Lo scenario che mi limito a immaginare/desiderare con un libero volo fantapolitico è una presa di posizione del Capo dello Stato, che a un certo punto prende atto delle non più sussistenti condizioni di legalità e diritto garantite dalla Costituzione, tra cui la compromissione degli equilibri e della indipendenza dei poteri. Ne consegue lo scioglimento delle camere e l’istituzione di un’assemblea costituente che rimarrà in funzione finché non saranno (ri)stabilite tutte le norme e i provvedimenti necessari a impedire analoghe future derive della democrazia. Tra questi provvedimenti, si potrebbe pensare anche a istituire un organismo in qualche misura erede dell’Alta Corte di Giustizia, per giudicare  i crimini contro lo Stato.
Solo a quel punto potranno essere indette nuove elezioni.
Ovviamente è un’ipotesi alquanto improbabile, fantapolitica appunto. Ma se devo pensare a una forzatura, non mi viene in mente niente di meglio.

La democrazia, come il diritto, opera virtuosamente fintanto che non perde il senso del proprio agire: e questo senso è la tutela e il bene  del consorzio degli uomini, non disgiunto dalla comprensione dell’umano, con tutte le sue fragilità e insicurezze.  A questo solo deve guardare la democrazia, e in funzione di ciò essa deve sapersi mutare, al punto, se è necessario, di lambire il suo opposto. E se anche arrivasse a quel punto, non sarebbe questa mutazione – chiamiamola pure crisi apicale - a farle perdere identità o prestigio.  La democrazia si smarrisce quando smarrisce  l’umanità di cui è tutrice, anche se formalmente rimane integerrima:  summum ius, summa iniuria.
C’è un aneddoto apocrifo della vita di Gesù, che forse vale più di altri mille discorsi e lo scelgo quindi come epigrafe di queste mie riflessioni: i Farisei  accusano Gesù di violare la legge mosaica perché stava compiendo guarigioni di sabato. Quello stesso giorno Gesù si imbatte in un uomo che sta lavorando e gli dice: “O uomo, se sai ciò che stai facendo, tu sei benedetto, ma se non lo sai sei maledetto e trasgressore della Legge.”

2 commenti:

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  2. Direi che hai chiarito molto bene ciò che ho scritto nel mio "Sui paradossi della democrazia", ne hai approfondito alcuni aspetti e hai dato ancora più corpo e sostanza al mio pensiero. Il tutto, con una prosa chiara ed elegante, cosa che, come sai, non mi lascia mai indifferente.
    Aggiungo qua sotto il link al testo che ha dato origine a queste nostre riflessioni:
    Aberto Asor Rosa, “Il Manifesto”, "Non c'è più tempo", 13/04/2011;
    http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2011/mese/04/articolo/4446/

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