lunedì 23 maggio 2011

Fukushima e la mano di Dio

All’indomani del terremoto in Giappone, Roberto de Mattei, vicepresidente del CNR, è stato intervistato dall’emittente Radio Maria, facendo proprie alcune riflessioni di mons.Mazzella, arcivescovo di Rossano dal 1898 al 1917, a proposito del catastrofico terremoto di Messina del 1908. Come normalmente accade, la sintesi giornalistica ha concentrato un discorso più ampio in un asserto perentorio: “Il terremoto in Giappone: un castigo divino”. Probabilmente è stata questa formulazione, più che il tenore complessivo del discorso (quanti lo avranno ascoltato o letto per intero?), a irritare molti. Dunque vale la pena, prima di qualsiasi analisi o commento, riportare le affermazioni originali di Mazzella/De Mattei:

…in primo luogo le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio, che ci scuote e ci richiama col pensiero ai nostri grandi destini, al fine ultimo della nostra vita, che è immortali (sic). Infatti, se la Terra non avesse pericoli, dolori, catastrofi, la Terra eserciterebbe su di noi un fascino irresistibile, non ci accorgeremmo che essa è un luogo di esilio, e dimenticheremmo troppo facilmente che noi siamo cittadini del cielo."
Ma in secondo luogo, osserva l’arcivescovo di Rossano Calabro (scil. Mons. Mazzella), le catastrofi sono talora esigenza della giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi. Infatti, alla colpa del peccato originale che tocca tutta l’umanità, si aggiungono nella nostra vita le nostre colpe personali: nessuno di noi è immune dal peccato e può dirsi innocente; e le nostre colpe possono essere personali o collettive, possono essere le colpe di un singolo o quelle di un popolo, ma mentre Dio premia e castiga i singoli nell’eternità, è sulla Terra che premia o castiga le nazioni, perché le nazioni non hanno vita eterna, hanno un orizzonte terreno.
Nessuno può dire con certezza se il terremoto di Messina ieri, o quello del Giappone oggi, sia stato un castigo di Dio, sicuramente è stata una catastrofe. E, scrive Mons. Mazzella, la catastrofe è un fenomeno naturale che Dio ha potuto introdurre nel suo piano di creazione per molteplici fini degni della sua sapienza e bontà. Ha potuto farlo per raggiungere un fine della stessa natura ottenendo per mezzo di una catastrofe un bene  fisico più generale, come quando con una tempesta di venti che produce danni si purifica l’aria. Ha potuto farlo per un fine di ordine morale, come per esempio acuire il genio dell’uomo, eccitarlo a studiare la natura per difendersi dalla sua potenza distruggitrice, e così determinare un progresso della scienza.
Ha potuto farlo per uno dei fini per i quali la fede ci dice che talora l’ha fatto, come sarebbe quello di infliggere ad una città un esemplare castigo. Ha potuto farlo per un fine a noi ignoto. Per quale fine Dio ha operato in un caso speciale? Per quale fine Messina e Reggio sono state distrutte? Chi potrebbe dirlo? È possibile fare delle congetture, non è possibile affermare alcuna cosa con certezza. Intanto per noi al nostro scopo basta la sicurezza che le catastrofi possono essere, e talora sono, esigenza della giustizia di Dio.
De Mattei ha pure rincarato la dose, assimilando la distruzione di Varsavia nel secondo conflitto mondiale a quella di Sodoma e Gomorra:
«Il signore annunciò a santa Faustina Kowalska il castigo di una città, Varsavia, per i peccati che in essa si commettevano, soprattutto l’aborto, che è l’uccisione inerme nel grembo della madre.”

Alla pratica dell’aborto, de Mattei ha incluso, per motivare la punizione divina di Varsavia, l’omosessualità degli “invertiti” che vi abitavano, proprio come nel caso delle due città bibliche.
De Mattei, oltre che vicepresidente del CNR, è docente di Storia moderna e contemporanea presso l’Università Europea di Roma, nonché direttore della rivista “Radici cristiane” e – come si può arguire - un convinto cattolico. Niente di strano allora che possa sostenere l’idea dell’immanenza di Dio nel mondo e persino di un Dio che interviene direttamente nella storia. Va peraltro considerato che, mentre nel 2009 de Mattei aveva promosso a Roma un convegno incentrato sulla contestazione dell’evoluzionismo darwiniano, da cui il CNR prese le distanze, questa volta ha espresso le sue posizioni nel contesto ben diverso di una radio religiosa.
Allora, per lo meno in linea di principio, quando de Mattei parla in qualità di cattolico in una emittente cattolica, non può e non deve essere attaccato in base all’argomento che è vicepresidente del CNR. Altrimenti ne deriverebbe la conseguenza assurda che egli, un attimo prima di assumere questa carica e un attimo dopo averla deposta, diventa automaticamente legittimato a farlo, come se i diritti inalienabili valessero a singhiozzo! La vera discriminante è quindi la circostanza: una conferenza stampa, una partita di golf, l’inaugurazione di un oratorio… Eppure mi resta il dubbio che, in fondo in fondo, la causa dello scandalo sia l’opinione in sé, e non il fatto che la esprima un alto rappresentante del Consiglio Nazionale per la Ricerca. La polemica mi pare anzi confermare come l’intolleranza del pensiero dominante verso le altre forme di pensiero non muoia mai, manifesta o strisciante che sia. E non vale lamentarsi delle ingerenze della Chiesa in questioni su cui il nostro Stato laico dovrebbe scegliere in piena autonomia: se ciò accade è perché la politica lo permette, per interesse, per paura, per tornaconto. La situazione non giustifica l’intolleranza tout court verso argomentazioni di ispirazione religiosa, tanto più che oggi, di fatto, predominano una mentalità e costumi largamente laicizzati e ‘scientificizzati’. È per altro una ‘scientificizzazione’ spesso grossolana, persino ignorante, condizionata da un progresso delle conoscenze che procede in modo disorganico, per addizioni indipendenti. L'integrazione delle diverse sfere culturali non solo è scansata per ottusità o pigrizia mentale, ma è sovente guardata con sospetto, ed evitata come indebita invasione di campi. Vi si preferisce la via facile dell’apartheid: rigidissimo tra scienza e religione, più sfumato tra scienza e filosofia e tra filosofia e religione, una specie di spartizione delle aree di influenza da guerra fredda, insomma, ma giocata sull’educazione dei popoli. È ciò che di più lontano vi è dall’umanesimo e purtroppo, la modalità con cui oggi le conoscenze vengono diffuse e recepite impedisce di fatto la realizzazione su larga scala di un neoumanesimo.
Questa inconciliabilità tra sfere è illustrata bene da un commento su Isaac Newton del professore di logica Piergiorgio Odifreddi, noto opinionista televisivo: “Chissà quante altre scoperte scientifiche avrebbe compiuto Newton se non avesse dedicato tanto tempo a cercare segreti mistici nella Bibbia e a studiare la kabbalah!”
È una domanda retorica di stampo anti-umanistico, tipicamente dogmatica, a cui se ne dovrebbe contrapporre un’altra: “Chissà se Newton avrebbe fatto tutte quelle scoperte scientifiche se non si fosse dedicato anche alla Bibbia e alla kabbalah?” Non è una semplice provocazione: le scoperte scientifiche infatti non seguono quasi mai un procedimento lineare e geometrico, tendono invece a realizzarsi per serendipità, con vere e proprie scommesse, intuizioni inconsulte, potremmo dire divinazioni di una legge della natura (cfr. U. Eco, L'abduzione in Uqbar, in Sugli specchi e altri saggi, ove si fa l’esempio delle leggi di Keplero).

E veniamo ora a questo scontro frontale tra le due sfere in massima opposizione: religione e scienza, de Mattei da un a parte e i difensori del buon nome del CNR dall’altra: c’è la mano di Dio dietro il terremoto e lo tsunami in Giappone?
Se ora, resistendo alla tentazione di respingere in blocco questa tesi di sapore clerical-millenaristico, rileggiamo quanto è stato affermato da Mazzella/de Mattei in modo più speculativo, ci accorgiamo di una cosa: non si sostiene che il terremoto è innaturale, cioè che è il risultato di una violazione delle leggi note della fisica (come potrebbe essere invece l’immagine di Cristo impressa sulla Sindone), ma che esso costituisce una punizione divina. Dio manifesta il suo disappunto agendo sul mondo, ma rispettando le regole con cui il mondo funziona. La volontà di Dio è quindi la causa prima, remota, impercettibile e trascendente, mentre la causa prossima - il meccanismo che attua il segno divino - è interamente compresa entro le leggi naturali. Stringendo stringendo, il metafisico imprime una direzione al fisico. E già sento Karl Popper affermare che proprio perché si tratta di ipotesi metafisica, e quindi non falsificabile, non ha nulla di scientifico; che - non essendo la metafisica scienza né gli enti della metafisica oggetto di scienza - questa non è deputata a verificare per il terremoto giapponese un nesso del genere. E allora… e allora a che serve stare a discutere?
Già, religione e scienza sono sfere troppo distanti, incomunicabili. Ecco perché è il caso di abbandonare, almeno per il momento, l’interpretazione religiosa. Certo ci sono a disposizione dei buoni argomenti per criticarla, dal suo interno e anche dall’esterno, e non già di tipo scientifico (ricadrei nello stesso impasse), bensì etico-filosofici. Ma per adesso, stabiliamo con de Mattei una tregua e anzi, chiediamogli in prestito il succo della sua tesi. Per farne cosa? Per de-metafisicizzarlo, per compiere una sorta di virtuoso riciclaggio di denaro sporco, per vedere se, in una diversa prospettiva abbiamo qualche chance in più di dialogare con la scienza.
In definitiva, che cosa distingue – nell’idea di de Mattei – un terremoto qualsiasi da un cataclisma voluto da Dio? Non la loro meccanica che, abbiamo visto, è in entrambi parimenti naturale. A distinguerli è la presenza, nel terremoto ‘divino’, di un fine, di un intento. Ora, vedere intenzionalità in un fenomeno naturale significa attivare un’interpretazione. Sia chiaro che la scienza fa esattamente lo stesso: quando indaga i fenomeni, tenta in primo luogo di interpretarli, poi cerca attraverso metodi di verifica di confermare l’ipotesi interpretativa. L’uomo interpreta gli eventi della natura da migliaia di anni: chi attribuiva il fulmine all’ira divina compiva un atto interpretativo esattamente come chi per la prima volta propose di spiegarlo con lo sfregamento di nubi caricate elettricamente.

Siamo a questo punto nelle condizioni di scremare gli oppositori di de Mattei in due gruppi: gli ultrà e i moderati. Gli ultrà non concepiranno nemmeno l’idea che un terremoto possa essere guidato da un’intenzione. Davanti a loro, quindi, noi deponiamo le armi. I moderati, invece, ammetteranno questa possibilità ma pretenderanno in cambio dei candidati più credibili di Dio. È a loro che ci rivolgiamo adesso, proponendogliene giusto un paio, via via più più smarcati dal trascendente.
Il primo è l’anima del mondo. Facciamo qui riferimento soprattutto al pensiero di Schelling, il quale individua nella Natura una forza unitaria, una forma latente di spirito (una coscienza ‘addormentata’) che scorre invisibilmente nelle cose. In questo senso, fenomeni e forze come il magnetismo, la luce, l’elettricità, i processi biologici - non determinabili attraverso criteri puramente matematici e quantitativi - sono manifestazioni di una coscienza primitiva che guida il mondo, gli trasmette tensione, gli dà una direzione. La natura è uno spirito pietrificato, una intelligenza primordiale, non così consapevole di sé da dire a se stessa “Io sono”, ma abbastanza per imprimere alle varie componenti del mondo movimento e direzione (magnetismo, luce, processi biologici). Il regno degli organismi viventi, in particolare, è il campo d’azione di forze quali sensibilità, eccitabilità e capacità riproduttiva. La vita organica è ciò in cui si manifesta più chiaramente il carattere finalistico, intenzionale della natura: l’autoconservazione. L’uomo è al vertice della gerarchia della natura, in quanto il suo spirito è la manifestazione più consapevole, ‘intelligente’ dell’anima del mondo. Per chi non se ne fosse accorto, siamo entrati nella filosofia della natura; non abbiamo abbandonato del tutto il metafisico, ma almeno ci siamo affrancati dell’ingombrante presenza di Dio (a meno, ovviamente, di considerare l’anima del mondo un principio divino). E - cosa non secondaria - concetti come intenzione e fine, che nella formulazione da profeta veterotestamentario di de Mattei fanno venire la scabbia ai laici, qui provocano un po’ meno prurito, innestati come sono nel mondo fisico-organico (istinto di sopravvivenza, istinto alla riproduzione…) .
Il secondo candidato è Gaia, o meglio una versione più spinta della cosiddetta ipotesi Gaia, di cui riporto qui la descrizione offerta da Wikipedia:
L'ipotesi Gaia è una teoria formulata per la prima volta dallo scienziato inglese James Lovelock nel 1979 in "Gaia. A New Look at Life on Earth".
Nella sua prima formulazione l'ipotesi Gaia, che altro non è che il nome del pianeta vivente (derivato da quello dell'omonima divinità femminile greca, nota anche col nome di Gea), si basa sull'assunto che gli oceani, i mari, l'atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento e all'azione degli organismi viventi, vegetali e animali. Ad esempio la temperatura, lo stato d'ossidazione, l'acidità, la salinità e altri parametri chimico-fisici fondamentali per la presenza della vita sulla terra presentano valori costanti. Questa omeostasi è l'effetto dei processi di feedback attivo svolto in maniera autonoma e inconsapevole dal biota. Inoltre tutte queste variabili non mantengono un equilibrio costante nel tempo ma evolvono in sincronia con il biota. Quindi i fenomeni evoluzionistici non riguardano solo gli organismi o l'ambiente naturale, ma l'intera Gaia.
Il sistema Gaia, che non è identificabile né con il termine biosfera, né con biota, che sono solo due elementi che la compongono […]Un fattore inquinante dell'intera Gaia sono certamente le attività e l'ambiente costruito dall'uomo, che anche se non facente parte del sistema, interagisce fortemente con esso modificando i fattori limitanti (temperatura, composti chimici ecc.).

Si potrebbe formulare una versione più spinta della teoria Gaia, attribuendo al pianeta vivente un carattere cosciente: non solo Gaia preserva in modo consapevole l'omeostasi, ma percepisce chiaramente la presenza dell’uomo e l’insieme delle attività antropiche, considerandole qualcosa di estraneo, di artificiale, destabilizzante e tanto pericoloso da mettere a repentaglio l’esistenza stessa di Gaia. E così Gaia reagisce aggredendo con tutti i mezzi a sua disposizione l'uomo, con virus, malattie e persino catastrofi climatiche e terremoti. Lo scopo potrebbe essere sia ridurre la numerosità della specie umana, sia dissuaderla da certi comportamenti distruttivi. Chi ritiene di poter bollare con sicurezza questa teoria di fantascientificità o parascientificità dovrebbe soffermarsi a riflettere sul proprio corpo e su come funziona: noi non diamo al nostro organismo ordini coscienti, simili a 'cammina', 'prendi quell'oggetto', quando facciamo intervenire le piastrine per fermare un'emorragia, o reagiamo a un'infezione di cui magari ignoriamo la presenza e via dicendo. Anzi, il nostro corpo, indipendentemente dal nostro “Io” cosciente, si comporta con una intelligenza propria, allo scopo di preservarsi in salute: di nuovo, con intenzione e finalità. E lo fa senza chiamare in causa le funzioni del cervello, possedendo una memoria e delle istruzioni distribuite in ogni suo organo.

Qualcuno storcerà comunque il naso, e sosterrà che sia con l’anima del mondo sia con Gaia non siamo molto lontani dall’ilozoismo di Talete (per cui la materia è intrinsecamente animata) o dalla simpatia universale degli Stoici. Ma è normale che sia così, perché si tratta pur sempre di interpretazioni della realtà, con tutti i loro limiti . Eppure anche la scienza ha dei limiti, suoi costitutivi, per i quali, innanzi a certi dati di fatto – ad esempio che certe particelle elementari ‘danzino’ in un certo modo, che abbiano un senso di rotazione (spin) piuttosto che un altro - non può andare oltre un’ipotesi di interpretazione. Prendiamo un esempio più semplice: la gravitazione universale. La scienza la riconosce e la descrive, ma non è in grado di spiegarla. Non è costitutivamente in grado di motivare il fatto che le masse si attraggono, invece di respingersi o di restare indifferenti l’una all’altra. È appunto quando non è possibile andare oltre delle proposte di interpretazione, che entrano in gioco  filosofia e religione. Il caso più macroscopico è l'esistenza della materia che ha consentito il big bang. Che ci faceva lì? In termini ancora più chiari: la scienza può spiegare solo ciò che è dato, ossia ciò che esiste, ma non è in grado si dire perché esiste qualcosa piuttosto che niente.
Tornando quindi alla gravitazione universale, nessuna proposta di interpretazione sarà mai confortata per via scientifica, per quanto si ammanti di scientificità, né potrà mai pretendere di avere maggior valore, per esempio, di quella di un Giordano Bruno, il quale descrisse il rapporto tra sole e pianeti come una sorta di attrazione amorosa, di desiderio di calore.
Quando pensiamo al dogmatismo, ci viene in mente subito, per abitudine culturale, la Chiesa di Roma, il Credo niceno, la verginità di Maria. È così facile e naturale che non ci poniamo il dubbio che il virus del dogma abbia anche altre forme, conscie e inconscie: ad esempio il dogma che ciò che non è scientifico è perciostesso non-razionale, ossia senza misura, senza regola, caotico; oppure il dogma che ciò che non è scientifico confligge necessariamente con quanto attiene la scienza. In particolare piace, perché rassicurante, ritenere certo e acquisito ciò che non lo è, e irrazionalmente – questa volta davvero irrazionalmente – ci si sente maggiormente legittimati ad applicare questo improvvido passaggio mentale proprio ai contenuti della scienza, e non ci si rende conto di essere laicamente dogmatici, laicamente fideisti. Ancora, si dà per scontato che noi disponiamo dei mezzi più avanzati che la tecnologia è in grado di inventare, mentre per motivi di mercato, la tecnologia si impegna a produrre beni e strumenti meno efficienti di quanto effettivamente potrebbe, affinché entro un tempo ragionevole diventino obsoleti, smettano di funzionare e debbano essere sostituiti. C’è chi si affida al magistero della Chiesa, e chi al magistero dei tecnocrati.
Il più palese e culturalmente rilevante dogma è la comune e tradizionale concezione della realtà come un insieme di due componenti distinte - materia solida e vuoto - regolato da un principio di causalità trascendentale che si innesta nella dimensione del tempo (in soldoni, a una causa segue un effetto). La fisica quantistica rivela invece che, al suo livello più intimo, la materia non corrisponde affatto all’idea che ci eravamo fatti da Aristotele fino al principio del XX secolo, e il nesso di causalità nel tempo non ha validità, perde anzi di significato. Tuttavia, essendo i contenuti della quantistica difficilmente divulgabili (perché non esprimibili attraverso il linguaggio verbale né chiaramente visualizzabili), la nostra civiltà continua ad avere una concezione della realtà ancora di tipo newtoniano, risalente cioè al XVII secolo. È una concezione pratica, ovviamente, perché valida a livello ‘macro’ e quindi funzionale alla vita di tutti i giorni, ma finché non diventiamo consapevoli della sua pura strumentalità e della sua fondamentale non assolutezza, siamo a nostra volta dogmatici.
Con tutto questo discorso non intendiamo favorire una tesi a svantaggio di un'altra, ma salvaguardare la libertà di pensiero contro atteggiamenti intolleranti che si spacciano o si credono manifestazione del libero pensiero, molto spesso condizionati dall'avversione preventiva contro l'aspetto, il carattere, l'estrazione sociale, politica, religiosa di chi la esprime. Se non ci togliamo da davanti questi elementi pregiudiziali, ci neghiamo l'opportunità di trovare nelle opinioni dell'altro quel quid che inaspettatamente condividiamo.
E allora, prima di sobbalzare dalle sedie e scandalizzarci per le dichiarazioni di de Mattei, domandiamoci di nuovo se siamo indignati perché quest’uomo è vicepresidente del CNR, oppure se la sua dichiarazione ci infastidisce a prescindere. Potremmo scoprire che mentre credevamo di combattere il dogmatismo oscurantista di un de Mattei, in realtà gliene stiamo solo contrapponendo un altro, eguale e contrario. Quanto è facile trovare intorno a noi dei de Mattei, e quanto è difficile vedere quello che è dentro di noi.

Nessun commento:

Posta un commento